Il Presidente dà benvenuto ai due illustri relatori Dott.ssa Elena Spagnoli e Arch. Leonardo Germani
La mostra sull'Arch. Lamberto Bartolucci e l'importanza di conservare, comprendere e progettare per tutelare

16/10/2025 Annata 2025-2026

Il Presidente dà benvenuto ai due illustri relatori Dott.ssa Elena Spagnoli e Arch. Leonardo Germani, i quali hanno gentilmente accettato il nostro invito.

La Dott.ssa Elena Spagnoli è responsabile progettazione, organizzazione e coordinamento di servizi, attività ed iniziative culturali, responsabile amministrativa e responsabile di sistema qualità e parità di genere per la Cooperativa di servizi per attività culturali AGAVE di cui è anche membro del CdA. Dopo la laurea in Conservazione dei Beni Culturali all’Università di Pisa pubblica vari articoli di stampo artistico e architettonico su riviste come Reporto e Livorno Magazine e assiste e cura le mostre fotografiche e di arte moderna e contemporanea. Nel 2007 entra a far parte di AGAVE dapprima collaborando con l’ufficio cultura del comune di Livorno per l’organizzazione di, convegni, attività culturali ed eventi anche con le scuole. Negli ultimi 18 ani ricopre diversi ruoli all’interno della Cooperativa tra cui: referente della sezione didattica per il Museo Fattori, responsabile della progettazione di eventi culturali presso luoghi d’interesse come il Teatro Goldoni, i Granai di Villa Mimbelli, il Museo della Città e la Biblioteca Labronica. Ricopre anche i ruoli di responsabile di formazione del personale, referente della sezione didattica per il Museo Fattori e responsabile della comunicazione sui canali social.

Leonardo Germani (Livorno, 1970) architetto libero professionista, PhD in Architettura, docente al Master di II livello in Valorizzazione del Patrimonio Culturale presso il DiDA dell’Università degli Studi di Firenze già docente a contratto del laboratorio di Restauro architettonico presso le scuole di Architettura dell’Università degli Studi di Genova e Firenze. Dal 2012 partecipa attivamente ai lavori dell’Unità di Ricerca DM_SHS (Documentation and Management of Small Historical Settlements) del DiDA di Firenze e dal 2017 è membro del Cultural Heritage Management Lab del DIDA di Firenze. Dal 2020 è socio aggregato della Società Italiana per il Restauro dell’Architettura. Dalla fine di aprile del 2025 è presidente dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Pisa. Concentra i suoi interessi verso gli ambiti disciplinari inerenti la tutela, la valorizzazione e il restauro dei manufatti architettonici ed urbani. Dal 2001, in collaborazione con Stefania Franceschi, ha sia progettato e diretto, in Italia e all’estero, numerosi interventi di restauro di complessi monumentali in ambito architettonico ed urbano, sia prodotto numerosi contributi in materia di restauro

L’intervento della Dott.ssa Elena Spagnoli

In qualità di responsabile progetti della Coop. Agave, vi informo che stiamo organizzando una mostra personale sull'architetto Lamberto Bartolucci che progettò il Palazzo degli Affari e della Borsa Merci (Camera di Commercio di Pisa), l'Aeroporto di Pisa, la Chiesa di San Rossore, il villaggio di Larderello e il Palazzo Attias di Livorno.

La mostra, che si terrà a Pisa dal 10 ottobre al 16 novembre 2025 presso il Complesso della Cittadella Galileiana (ex Macelli), è patrocinata dalla Provincia e dal Comune di Pisa grazie alla collaborazione dell'Assessore Bedini e dell'Assessore Dringoli. La mostra gode anche di altre importanti collaborazioni tramite il patrocinio dell' Università di Pisa, della Camera di Commercio Toscana Nord Ovest, dell' Ente Parco Naturale di Migliarino San Rossore e Massaciuccoli, di Confcommercio Pisa e di Unicoop Firenze. La mostra rappresenta un'occasione di valorizzazione della storia della ricostruzione postbellica della città di Pisa. Un evento che attirerà professionisti, studenti, appassionati e media, offrendo opportunità di visibilità e networking.

Essendo il Rotary Club Pisa Galilei un'importante associazione attiva nella promozione di iniziative culturali, sarebbe importante poter creare delle sinergie sul territorio volte alla promozione dell'evento. Attualmente stiamo selezionando soggetti interessati a collaborare all'iniziativa come sponsor, in modo da poter creare una rete di realtà dedite alla valorizzazione del territorio e della sua storia; riferimenti ai partner saranno inseriti nel materiale promozionale, nei contenuti grafici e comunicativi relativi all'evento, che avrà una sicura visibilità sul territorio regionale. Sostenere questa iniziativa significa:

L’intervento dell’arch. Leonardo Germani

Conservare e comprendere e progettare per tutelare

Nel titolo di questa breve relazione sono già presenti i temi nodali che devono essere alla base di un qualsivoglia progetto per il patrimonio storico architettonico, progetto che deve necessariamente nascere da una profonda conoscenza del manufatto oggetto di intervento così da poter eseguire scelte consapevoli.

L’intervento per il già costruito a cui si riconosce un valore storico-artistico, è infatti sempre il prodotto di un atto di selezione, o come potrebbe suggerire Roberto Masiero, è la scelta di un possibile tra gli infiniti possibili (R. MASIERO, 1994) e, pertanto, necessita uno specifico approccio progettuale governato da conoscenza, creatività e metodo. Conoscenza perché solo l’intima comprensione delle tecniche costruttive, dei materiali, dei caratteri, dei degradi, dei dissesti, delle vocazioni d’suo intrinseche al manufatto garantirà di dare risposte consapevoli e appropriate dal punto di vista tecnico-architettonico; creatività in quanto le soluzioni proposte non possono essere risolte con una sommatoria di procedure e soluzioni pronte all’uso ma devono essere vagliate attraverso le capacità critiche di controllo estetico generale. Il progetto di restauro è, infatti la cosa più lontana da un progetto protocollare, viceversa è la cosa più vicina alla creazione ‘sartoriale’, ossia un ‘abito’ cucito su misura al nostro edificio; metodo per gestire, con opportune strategie, ‘conoscenza’ e ‘creatività’, che sono due polarità non separabili e non derogabili di un medesimo percorso: questo non garantirà a priori la giustezza dei risultati ma sarà condizione necessaria per indirizzare a progetti appropriati, sostenibili e rispettosi del valore intrinseco e culturale del bene.

Credo che oggi sia essenziale prendere coscienza che il territorio, lo spazio entro il quale vivremo nei prossimi decenni, non è uno spazio vuoto, ma è in gran parte già costruito ovvero, è un ‘tutto-pieno’ storico e materico, le cui stratificazioni testimoniano la sua età. Riconoscersi come parte di questo processo significa capire di appartenere a uno strato geoarcheologico unico e irripetibile, destinato a essere a sua volta ricoperto dalle impronte delle future generazioni (M. DEZZI BARDESCHI, 1991). Abitare il tempo inteso come abitare il patrimonio, significa, quindi, accettarne il mutamento.

Il progetto di restauro quale sintesi della cultura della conservazione e di quella dell’innovazione è conseguenza e compendio a posteriori di un percorso di apprendimento lungo, rigoroso, intenso, che mira a salvaguardare/conservare la possibilità di interpretare e comprendere per questo, l’intervento di restauro non può essere materializzazione di risposte certe desunte dall’interpretazione, ma piuttosto difesa degli interrogativi che la fabbrica è in grado di suscitare e per questo noi (architetti) abbiamo il dovere morale di tutelare. L’intervento compiuto con spirito critico, avrà, quindi la capacità di costituire un nuovo ‘strato’, quello della contemporaneità strato che, in un certo qual modo non sarà mai nuovo in assoluto visto che ciò che, di volta in volta, rappresenta il nuovo è solo un sottile strato che si sovrappone all’esistente che sarà destinato a sua volta ad essere, in futuro soprascritto (H.M. ENZENSBERGER, 1999).

Il nuovo, in questo modo, in sintonia con il principio di correlazione tra ‘apporto’ e ‘supporto’, non dovrà cancellare l’esistente ma dovrà affiancarlo, appunto ‘per via di mettere’ cercando, in ogni caso, di evitare aggiunte eccessivamente impattanti e proponendo, viceversa, operazioni ponderate in relazione alle condizioni al contorno; rispettando cioè il carattere del manufatto preesistente come requisito basilare cui subordinare tutto il resto, ma, allo stesso momento, realizzando ‘il nuovo’ con un carattere essenzialmente contemporaneo seppur con un timbro sobrio, rispettoso del carattere che la fabbrica ha assunto nel tempo. L’atto progettuale dell’architetto che intervenire sul patrimonio è, tacitamente, un atto di conferimento, di riconoscimento di valore alle cose, di conseguenza in relazione al valore che la singola coscienza, la singola cultura fa primeggiare, l’intervento di restauro muterà di intenzione e ‘gradazione’.

Conservare tutti i valori di un’opera risulta, talvolta, un’ambizione difficile da raggiungere; l’architetto che, oggi, opera su una fabbrica del passato, si trova, inevitabilmente, ‘costretto’ a compiere, una selezione di valori, operazione questa delicata e rischiosa ma inevitabile, pertanto, tali scelte dovranno essere prudenti, accorte e se possibile a maglie ‘larghe’ così da non arrecare danno al patrimonio durante la ‘riscrittura’ del piano generale dell’opera (P. FANCELLI 1995). Non è pensabile non operare delle scelte per timore di commettere errori, è impensabile direi anacronistico oggi non ‘adeguare’ un edificio all’abitare contemporaneo ovvero imporre condizioni abitative che non siano consone con le esigenze vitali del nostro tempo. Conseguente a questa ultima riflessione è possibile affermare che ‘Conservare’ e ‘rinnovare’ sono termini che possono/devono coesistere purché si abbia l’accortezza e la probità di operare in modo accorto ovvero è necessario da parte di chi progetto (ossia di noi architetti) una sorta di atto di rinuncia, di sacrificio da adempiere in qualche misura di gratitudine, di riconoscenza verso il costruito storico da manifestare ogni qual volta saremo coinvolti nella progettazione di un intervento non sul e neppure nel ma per il costruito storico, ovvero al servizio del patrimonio. I ‘documenti di carta’ e i ‘documenti di pietra’, se saputi interrogare, se saputi ascoltare, possono rilevarsi eccellenti strumenti capaci di suggerirci le intrinseche potenzialità della fabbrica affinché si possa valorizzarla in modo consapevole.

Un esempio emblematico di quanto detto fino ad ora può essere identificato con l’intervento di ‘restauro’ del palazzo Agonigi-da Scorno (situato in via Santa Maria a poche centinaia di metri dall’Hotel Duomo) realizzato nel 1963 a firma del professor Piero Sanpaolesi, vista la prematura morte del progettista incaricato ossia l’architetto Lamberto Bartolucci.

Bartolucci, prima della versione realizzata, firma due versioni del progetto, una risalente al 1958 e l’altra al 1960, entrambe oggetto di parziali prescrizioni da parte dell’allora Soprintendente di Pisa Piero Sanpaolesi. Le prescrizioni impartite dal Sanpaolesi al progetto di Bartolucci riguardano fondamentalmente: l’altezza totale del fabbricato che non deve superare i 17 metri (la soluzione di Bartolucci prevede un altezza di 22,50 metri), il rispetto dei piani in riferimento a quelli preesistenti ante bombardamento (quattro in luogo dei sei di progetto) e un miglior studio della ricostruzione del paramento murario realizzato con filari di bozze uguali per qualità, lavorazione e messa in opera di quelle esistenti così da dare vita ad una ricostruzione che fosse un perfetto esempio di ‘restauro di completamento’ (M.A. GIUSTI, 2006). Entrambi i progettisti hanno governato l’approccio al progetto da una profonda conoscenza sia della fabbrica pre danno bellico, sia dello stato dei luoghi post bombardamento. Questa conoscenza ha permesso a entrambi di eseguire le loro scelte selezionandole con spirito critico, sia dal punto di vista conservativo, sia da quello ‘innovativo/creativo’; entrambi, ad esempio, hanno previsto l’eliminazione dei lacerti di testimonianza post-medievali per riproporre la piena visibilità delle tessiture più antiche. Il Sanpaolesi, nella sua proposta, ha rielaborato idee e suggestioni già parzialmente presenti nei primi due progetti a firma di Bartolucci anzi, per certi aspetti, ha contraddetto le sue stesse prescrizioni impartite qualche anno prima al collega. Bartolucci prima e Sanpaolesi poi hanno preso le distanze dal cosiddetto ‘restauro di ripristino stilistico’ confrontarsi con la preesistenza in modo contemporaneo, evitando aggiunte ‘muscolari’ e non facendosi ammaliare dalla voluttà della forma ma progettando un intervento, che potremmo definire sobrio, in un certo qual modo austero, essenziale (che è cosa ben diversa dal ‘minimale’), che abita il tempo, che attraversa il proprio tempo senza rincorrere né mode né ‘tendenze’, capace di inserirsi nella storia, di sospendere il tempo ossia di affermare la propria temporalità nel pieno rispetto dell’autenticità della preesistenza. L’intervento pur risultando intriso di una figuratività contemporanea e distinguibile (che in un certo qual modo riprende quei modelli di razionalità strutturale individuati da Luigi Pera) si pone in ascolto, in assonanza, in confronto dialogico con l’esistente.

Concludo questa breve riflessione prendendo in prestito le parole di Simon Weil la quale afferma che «è cosa vana distogliersi dal passato per pensare soltanto all’avvenire. È un’illusione pericolosa persino credere che sia possibile. Il futuro non ci porta nulla; siamo noi che, per costruirlo, dobbiamo dargli tutto, dargli persino la nostra vita. Ma per dare, bisogna possedere, e noi non possediamo altra vita, che i tesori ereditati dal passato digeriti, assimilati, ricreati da noi» (S. WEIL, 1949).

Bibliografia di riferimento