Fabio Viola, 46 anni, di mestiere fa il game-designer. Durante gli studi universitari, ha fondato la sua prima startup con alcuni coetanei conosciuti nei forum dei videogiochi. Poi ha lavorato per diverse multinazionali dell’intrattenimento e pubblicato due libri: il primo, nel 2011, “Gamification – I videogiochi nella Vita Quotidiana”; il secondo, nel 2017, “L’arte del coinvolgimento”.
Docente di game design in diverse università italiane, è colui che per primo è riuscito a unire il mondo dei videogiochi a quello dei musei. Cosa che ha già fatto in tre importanti realtà italiane: il Museo Archeologico di Napoli, il MarTA di Taranto e le Gallerie degli Uffizi di Firenze.
Il suo primo progetto pilota si chiama “Father and Son”, primo videogame prodotto per il museo archeologico di Napoli. Un progetto che ha rappresentato un momento di rottura rispetto al “fare” cultura, in Italia e all’estero. “Father and Son” racconta dell’amore di un padre verso il figlio e di come i manufatti esposti in un qualsiasi museo non siano altro che lasciti emotivi di chi li ha realizzati o ne è venuto a contatto. I popoli e le culture cambiano, mentre le emozioni restano le stesse.
Nei primi tre anni di vita, il gioco è stato scaricato oltre 4 milioni di volte in tutto il mondo e il Museo Archeologico di Napoli è diventato così “un attivatore di cultura contemporanea”.
Viola definisce la sua attività “arte del coinvolgimento”, come il titolo del suo libro dove spiega che Gamification è sinonimo di coinvolgimento e partecipazione. Imparare a progettare esperienze per, e con, gli enti pubblici è un primo passo fondamentale per abbattere barriere e favorire un’orizzontalità dei processi.
Ricorda a quanto recentemente fatto con la versione in napoletano di “Father and Son”: a realizzarlo sono stati gli studenti di scuole di quartieri ‘difficili’ che hanno collaborato con linguisti in un processo che potremmo definire di ‘classe capovolta’, creando un valore utile, non solo per le ‘nicchie’ (in questo caso linguistiche) ma anche per la collettività: il gioco diventa un detonatore di istanze”.
Spiega che la sua attività (l’arte del coinvolgimento) rappresenta un cambio di prospettiva che permette ai musei di diventare centri di produzione di contenuti, oltre che di raggiungere pubblici internazionali perché il linguaggio del videogioco arriva in tutto il mondo. In questo modo, anche i musei piccoli possono farsi conoscere su ampia scala.
Dopo “Father and Son” per il Mann di Napoli, sono arrivati poi “Past for Future” per il MarTa di Taranto e “The Medici Gamer” per il polo museale Gallerie degli Uffizi. I tre enti sono stati tra i primi musei al mondo a utilizzare i videogiochi come formula di fidelizzazione dei visitatori. E in cinque anni Viola ha realizzato una ventina di questi progetti. Anche per comuni, regioni e teatri. Un esempio è “Life Music”, il videogioco prodotto per il Regio di Parma, il primo videogioco al mondo prodotto per un ente teatrale.
Di recente, il governo italiano ha riconosciuto i videogiochi come espressione artistica e culturale. Il riconoscimento è sicuramente significativo e aprirà le porte a più produzione e anche a una maggiore comprensione del videogioco come forma d’arte.
Ora, il suo nuovo filone di ricerca è la nuova dimensione “phygital”, per muoversi tra fisico e digitale, soprattutto dopo l’esperienza della pandemia. L’obiettivo è di trasformare lo spettatore in “SpettAUtore” e creatore, cioè colui che dà il via al processo, e che può finalmente sedersi e diventare spettatore, percorrendo le imprevedibili strade dell’installazione, grazie al protagonismo del pubblico.